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LETTERA AL DIRETTORE

Comunicati Segreteria - 12/12/2008

Gentile direttore,
di fronte ad una crisi di enorme portata, iniziata sulle scrivanie della finanza globale ed entrata poi di forza nell'economia reale e nei bilanci delle famiglie, il governo italiano aveva due possibilità: affrontare una situazione straordinaria con misure straordinarie o proseguire nella politica degli annunci, dell'immagine, delle misure scarsamente efficaci in termini concreti ma di grande appeal mediatico. E ha scelto la seconda.

Aveva davanti a sé l'alternativa tra un ricco, aperto e stimolante confronto vero con le parti sociali e una discussione formale, quasi solo rituale.
Ha preferito quest'ultima, peraltro condita con pasticciati e poco utili tentativi di dividere il fronte sindacale.

Ecco perché oggi la Cgil invita allo sciopero generale.
Uno sciopero che non è contro, ma che vuole soprattutto essere di sprone all'adozione di quelle iniziative politiche ed economiche che servono urgentemente e che ci possono permettere di uscire dalla con la schiena dritta. Altrove, pressocché ovunque nel resto dei paesi europei, le ricette sono ben diverse da quelle italiane: si tagliano le imposte dirette e quelle indirette, si promuove il sostegno al sistema delle imprese spingendo sui fattori di riqualificazione del tessuto produttivo, si agisce con nuove ed energiche misure di welfare per le famiglie, che consentano la tenuta del reddito e favoriscano una ripresa, sia pur modesta, della fiducia dei consumatori.

Il nostro invece, e paradossalmente, sembra essere l'unico Paese a non adottare politiche anticicliche: le tasse non calano, le imprese medie e piccole stanno ancora attendendo vere misure di rilancio; e per le famiglie, se non per quelle poverissime, si dice che non ci sono soldi per interventi di sorta. L'indeterminatezza dell'azione governativa, con una attenzione tutta spostata verso i grandi gruppi finanziari e di potere, lascia sul campo parecchi morti: il reddito delle famiglie dei cassa integrati, i bilanci delle famiglie medie, tartassati dal caro vita (su cui non si è voluto intervenire) e dalla zavorra delle tariffe; le condizioni di vita dei pensionati, dei licenziati over 40 che non trovano più una occupazione, dei precari, ovvero di un esercito di senza nome e senza diritti che scompaiono dalle statistiche non appena smettono di lavorare e che vengono lasciati soli a se stessi, perché di welfare per loro non c'è traccia. Ma anche gli imprenditori, tra cui si misura una crescente, e malcelata, disillusione rispetto a quelle che erano state le promesse elettorali.

Tutte cose di cui, in particolare nella Marca, oramai solo ex locomitiva dello sviluppo, in tanti ci si sta rendendo conto.
Un momento così drammatico imporrebbe scelte drastiche e coraggiose, manovre finalizzate a contenere gli effetti negativi (soprattutto attraverso nuovi strumenti di ammortizzazione e il calo delle tasse) e grandi investimenti pubblici, sfruttando anche l'allentamento dei parametri di Maastricht.

La risposta berlusconiana, sacconiana, brunettiana e tremontista, invece, è stata quella di tagliare i fondi alla ricerca, all'università e alla scuola pubblica, di far pagare alla collettività l'operazione Alitalia, per privatizzarne i vantaggi verso la cordata degli amici; di affossare i bilanci degli enti locali. Ben altri sono evidentemente gli interessi del governo e del suo presidente del consiglio: a cominciare dal completamento del "lavoro" sulla giustizia. Dopo la legge per l'impunità ora si accelera, con un coinvolgimento ed una partecipazione di cui invece le manovre anticrisi non possono godere, verso una magistratura inquirente ostaggio della politica.

Il presidente del consiglio ha detto che non si siederà la tavolo a parlare con l'opposizione e che andrà avanti da solo, anche se ci fosse da modificare la Costituzione in maniera unilaterale. Perché stupirsi: sono mesi che, davanti alle proporzioni straordinarie della crisi dell'economia reale italiana, il signor presidente del consiglio si rifiuta di ascoltare il Paese, di vedere e comprenderne i suoi problemi reali.
E' anche per questo che oggi è giusto ed è importante scioperare: per portare nelle piazze, fuori dalle fabbriche e dagli uffici l'aspirazione a non vedere compromesse le nostre condizioni di vita, perché si affrontino con intelligenza e efficacia le questioni aperte e drammatiche che giacciono e che rimarranno irrisolte se il governo non cambierà la rotta della sua inconcludente e fallimentare politica.

Paolino Barbiero Segretario Generale Cgil provinciale