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INTERVENTO DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA CGIL DI TREVISO

Comunicati Segreteria - 05/11/2014

In gioco il futuro del nostro sistema territoriale, si riparta dalla cultura del Lavoro. Viviamo per lavorare o lavoriamo per vivere?
Si potrebbe dire che a questa domanda la società veneta ha da sempre proteso per rispondere che il Lavoro, sul quale si fonda la nostra storia e la nostra cultura, viene prima di tutto.
Dalle grandi emigrazioni di inizio '900 agli anni del miracolo economico del ricco nordest, su questo territorio abbiamo fatto del lavoro e della capacità d'impresa il nostro scopo e il nostro stile di vita. La crisi economica e occupazionale ha posto e pone oggi più che mai, con le difficoltà e lo stato di bisogno che porta con, nuovi e fondamentali interrogativi, ai quali anche in termini di mercato del lavoro serve dare una risposta collettiva.

Se come singoli lavoratori siamo forse ancora una volta disposti ad accettare qualsiasi condizione pur di ricoprire un impiego, sottopagato o precario che esso sia, come collettività siamo disposti a considerare il lavoro, quel lavoro che ci ha resi forti sui mercati internazionali e ha distribuito tanta ricchezza, un elemento addirittura meno rilevante degli altri fattori di produzione? Se non vogliamo ritrovarci a essere considerati alla pari delle macchine, non possiamo fermarci a pensare solamente a noi stessi, alle nostre particolari vicende personali. La crisi, che ha messo in discussione la tenuta del nostro sistema produttivo e previdenziale, ci impone di aprire una riflessione generale sia sul presente sia sul futuro della nostra economia e del nostro stile di vita.
Le politiche e le riforme del lavoro a livello nazionale non sembrano andare nel verso giusto, anzi nel momento di maggior bisogno, quando servono livelli di garanzie che salvaguardino i redditi e i diritti dei lavoratori, si apre, invece, al restringimento delle tutele e delle regole. Ma quale azienda senza commesse assume solo perché i contratti sono più flessibili o perché si può licenziare più facilmente? Oggi, non è il lavoro ma è la sua assenza il problema vero.

Non possiamo ignorare, inoltre, che il lavoro ha una funzione e una dimensione sociale imprescindibile e che i lavoratori, di tutte le tipologie e livelli, sono prima di tutto dei cittadini. Cittadini di una Repubblica che, come riporta il primo articolo del dettato costituzionale, si fonda proprio sul lavoro, come base per la crescita sociale del Paese.
Non possiamo accettare passivamente che passo dopo passo quei valori che hanno fatto l'Italia vengano cancellati, sacrificati in nome di non si sa bene quale politica dell'improvvisazione. Non si stanno risolvendo i problemi attuali, tantomeno si stanno gettando le basi per un futuro migliore. Anzi, stiamo imboccando la strada del precariato a vita, dell'assenza di tutele, dell'eterno ricatto del licenziamento, delle pensioni da fame. Le scelte che il Governo, la nostra classe dirigente e politica stanno portando avanti vanno ripensate. Non siamo immuni e non lo saranno i nostri figli da tali decisioni. Per questo il Sindacato, che oggi forse appare lontano nella sua dialettica nazionale, ma che nel territorio è sempre vicino a tutti i lavoratori, ha elaborato delle proposte adeguate e per portarle all'attenzione del presidente del consiglio e del Parlamento ha bisogno di tutti i lavoratori, di tutti i pensionati, di tutti i veneti e trevigiani che ancora credono nel lavoro.
Il 25 ottobre a Roma, tutti insieme, riempiamo piazza San Giovanni delle nostre proposte per una nuova politica economica, perché si semplifichi il mercato del lavoro nel segno delle garanzie, perché si sconfigga la piaga del precariato e della disoccupazione nel segno dell'equità e della crescita.