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LETTERA AL DIRETTORE

Comunicati Segreteria - 26/01/2010

Lo sciopero è non solo la fase più visibile ma anche quella più acuta del confronto fra parti impegnate in un rapporto economico o comunque di scambio di prestazioni.
E' in questa logica che si deve leggere l'agitazione, proclamata su scala europea per il prossimo 1° marzo da alcune associazioni di lavoratori migranti, una mobilitazione di protesta che non a caso verrà proposta sotto il titolo di "Un giorno senza di noi".
E' giusto riconoscere le "buone ragioni" della protesta da parte di soggetti che, inseriti nella nostra società attraverso il percorso legalizzante del permesso di soggiorno, occupati nelle nostre imprese e contributori del nostro sistema fiscale, sanitario e previdenziale, sono spesso esclusi dai più basilari diritti di cittadinanza: la casa, il welfare.

O peggio: uomini e donne a cui viene negato il ruolo di persona e che si ritrovano ridotti a semplici unità lavorative, meri fattori della produzione. Questo significa che la loro presenza nei territori di immigrazione dovrebbe essere sostanzialmente e solo legata alla loro capacità di rispondere ai bisogni del sistema economico, tanto più se si tratta di lavoratori che svolgono mansioni ancora essenziali ma che gli italiani, ad esempio, non vogliono più fare.

Anche in questa ottica, cioè se il patto di convivenza tra immigrati e Paese ospitante fosse solo di natura economica, è chiaro che manca un pezzo dello scambio. Il lavoratore migrante non può infatti ragionevolmente solo dare. Non può esserci di giorno, in catena di montaggio o al fianco dei nostri anziani, per poi scomparire e "togliere" il disturbo sociale quando smette l'orario. Lo sciopero "Un giorno senza di noi" avrebbe quindi un senso e un fine: quello di rivendicare il diritto ad una piena e completa esistenza di diritti, non solo di doveri.

C'è una ragione per cui invece, a Treviso, le associazioni dei migranti e Cgil, Cisl e Uil, hanno scelto una forma di mobilitazione diversa. L'obiettivo, quello di affermare il bisogno di diritti e riconoscimento, è lo stesso ma la proposta è un'altra.

"Tutti i giorni insieme", come abbiamo voluto chiamare la nostra giornata del 1 marzo nella Marca, è una scelta culturale diversa a "Un giorno senza di noi". Quest'ultima infatti, con lo sciopero dei soli lavoratori migranti che dovrebbe rendere evidente quanto sia l'apporto degli stranieri all'economia, accetta di riconoscere che l'ambito principale, se non esclusivo, della questione immigrazione sia quello economico. In un certo senso fa il gioco di chi non riconosce il diritto alla cittadinanza e vuole la presenza del migrante come un affitto concesso in cambio dell'attività lavorativa. E per il suo valore di rottura, lo sciopero del 1 marzo rischia di approfondire il solco della contrapposizione e della diffidenza.

Con "Tutti i giorni insieme" a Treviso, provincia in cui ben più del 10% della popolazione è composto da stranieri, cerchiamo invece di affermare l'integrazione fra persone, non fra la società e un fattore della produzione. Proponiamo una riflessione sul fatto che la rivendicazione dei diritti non può reggere solo sullo sciopero, cioè un momento alto di conflittualità economica e sociale, ma piuttosto sullo sforzo di affermare, giorno dopo giorno, una convivenza basata non soltanto sul rispetto ma anche sulla costruzione di regole condivise di democrazia, di libertà, di raggiungimento il più esteso possibile dei diritti soggettivi dell'essere umano, e che non basta l'astratta difesa di una legalità che non è minacciata tanto dagli immigrati, quanto dall'illegalità diffusa della criminalità e di una certa politica.

Treviso può e deve risaltare, nel panorama del 1 marzo, come un luogo dove si sta un passo avanti, dove prevale il metodo che guarda ad unire, non a dividere, ad includere e non ad autoescludersi. Tutto questo senza rinunciare alle battaglie per l'affermazione dei diritti dello straniero: tempi civili per la concessione e il rinnovo del permesso di soggiorno, risorse certe per i ricongiungimenti familiari, il permesso per ricerca di lavoro, la riqualificazione professionale anche per gli stranieri, il diritto alla casa, alla scuola, alla sanità, così come la battaglia culturale contro l'idea secondo cui la clandestinità, che sicuramente va contrastata, debba essere gestita solo come reato.

Nella Marca le associazioni di rappresentanza dei migranti hanno fatto proprio questo metodo, a conferma di come nella terra di Gentilini e dei suoi messaggi che invocano la segregazione sostanziale delle "etnie" diverse, c'è proprio da parte degli stranieri la maturità e la responsabilità di aver compreso pienamente cosa serve per dare un senso alle parole integrazione, società multiculturale dei diritti e dei doveri e del rispetto per gli altri, società della solidarietà economica e sociale.

Paolino Barbiero, Segretario generale Cgil provinciale Treviso