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LETTERA AL DIRETTORE

Comunicati Segreteria - 17/06/2011

La vicenda della DataLogic di Quinto di Treviso, azienda in fase di chiusura a causa di una operazione di delocalizzazione della produzione in Vietnam, si è trasformata, per effetto di una scaltra e sfacciata comunicazione da parte dell'assessore alle politiche del lavoro della Regione Veneto Elena Donazzan e dell'entourage locale del ministro Sacconi, in una sorta di caso di scuola di quella che, leggo nel suo articolo, sarebbe una "inversione di fronti".
Ne uscirebbe l'immagine di una Cgil che "si accontenta di quattro soldi", come ha detto l'assessore Donazzan, o di una Cgil che ha "rotto il fronte", per usare le parole di Maurizio Castro, in una trattativa che avrebbe dovuto puntare a far recedere la proprietà dall'intenzione di delocalizzare.

La situazione di DataLogic è complessa: l'azienda ha già riorganizzato tutti i siti produttivi italiani, ha chiuso i propri stabilimenti negli Stati Uniti (dove è rimasta solo un'area commerciale), ha persino dismesso l'impianto aperto in precedenza in Slovacchia, in un'area franca.
La decisione di produrre in Vietnam, dove nei fatti si sono già trasferiti buona parte dei concorrenti, è legata alla scelta di allargare il più possibile la forbice tra ricavi e costi, io credo in una logica di massimizzazione del valore dell'impresa in vista della possibile vendita. In queste condizioni, come peraltro ampiamente detto dal management, neppure una soluzione alla Pomigliano, quindi molto costosa per i lavoratori, avrebbe concesso margini alla permanenza dell'azienda a Quinto di Treviso.

Abbiamo, secondo il nostro compito sindacale, avviato una trattativa, anche molto dura, che ha esplorato tutte le possibili contro-offerte per rendere evidenti le condizioni di una permanenza (ad esempio con una forte automazione del processo), senza trovare una controparte interessata a valutare queste possibilità e semplicemente decisa a chiudere. Da qui un accordo certo di natura economica ( di forte garanzia e tutela) che fa transitare i lavoratori, alcuni con specifiche competenze e alte qualifiche, verso la ricerca di una nuova occupazione contando quantomeno su una tranquillità economica e di vita rappresentata anche da un valore risarcitorio di non poco conto e la modulazione di due anni di cassa integrazione più uno di mobilità.

Per dirla con il ministro Sacconi, una operazione di ingegneria di welfare intelligente e adatta a gestire le crisi in questa fase di forte "volatilità" dell'occupazione.
Il fronte non è stato rotto dalla Cgil ma dal governo; che oggi si dice interessato a salvare i posti di lavoro a tutti i costi ma ieri chiedeva ai lavoratori di rinunciare immediatamente all'unica forma di lotta che ha in effetti costretto l'impresa a trattare, e cioè l'occupazione della fabbrica. Detto questo, io sono personalmente molto interessato ad esplorare gli strumenti (possibilmente quelli trasparenti) che le istituzioni, governo e Regione, si dicono in grado di mettere in campo per costringere DataLogic a non delocalizzare.

E chiedo: come è possibile che in un regime di economia di mercato un governo sia in grado non di "convincere" ma di "costringere" una impresa a rimanere aperta, forzando la tanto celebrata libertà economica?
E se questi strumenti sono in effetti utilizzabili, perché il ministro del Welfare e l'assessore regionale non li hanno messi in campo subito per DataLogic e in passato in tutti gli altri casi di riorganizzazione sfociata in delocalizzazione?

Non vorrei che la gestione delle situazioni di crisi fosse considerata, da qualcuno, più una opportunità per pavoneggiare meriti da incassare sul piano elettorale. Diceva Albert Einsten che la ricerca della verità è una delle più alte attività umane, anche se spesso ne menano più vanto quelli che meno vi partecipano. Mi pare che questo caso, se penso alla posizione assunta da Regione e Governo, sia la conferma di quelle parole.

Paolino Barbiero, Segretario generale Cgil Provinciale Treviso