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LETTERA AL DIRETTORE

Comunicati Segreteria - 29/06/2011

C'è in effetti una Italia, e probabilmente ce ne è un pezzettino anche in provincia di Treviso, nei cui confronti Berlusconi e i suoi alleati e quindi anche la Lega hanno mantenuto la promessa di non "alzare" le tasse: le grandi rendite, i grandi capitali e gli evasori fiscali.
Sul resto, usando il silenziatore della leva fiscale locale che impatta meno, mediaticamente, rispetto a quella generale, il livello di tassazione è gradatamente aumentato, come confermano i dati sul prelievo complessivo nella Marca.

L'altra medaglia dell'aumento dei costi è poi rappresentato dal taglio orizzontale della spesa pubblica, che si paga, in maniera diversa, sotto forma di meno servizi ( e in alcuni casi di nuovi costi privati per sopperire, come nella sanità e nel sociale), meno spesa di sviluppo ( e qui basta pensare al blocco delle opere pubbliche, specie infrastrutturali, che zavorrano un pezzo di ripresa) e alla diminuzione della qualità del sistema della formazione, depresso dalla peggiore riforma scolastica - università e primaria - nella storia della Repubblica.

C'è una differenza nel modo con cui gli attori socio-economici locali interpretano questo fenomeno di decollo della pressione fiscale, a seconda di chi la pratica. Se il governo è di centro sinistra si prendono le chiavi delle imprese e le si portano a Palazzo Chigi o si sbraca nell'ironia infelice sul "Visco vampiro", come se nel dna della politica progressista ci fosse la consapevole e cosciente volontà di tartassare i cittadini. Ma se invece ad essere protagonista dell'aumento delle tasse sono le destre, al più si sente dire cose del tipo "neppure a Muraro farà piacere" o "bisogna sfoltire di più i costi delle amministrazioni". Sbagliato.

L'incremento della pressione fiscale non è infatti un male a cui questa politica di governo è occasionalmente costretta. Se oggi a pagare di più sono le piccole aziende, il lavoro dipendente e più in generale le famiglie è perché nell'idea di finanza pubblica di questa destra c'è l'assoluta intangibilità delle rendite finanziarie (solo ora si discute di una modifica delle aliquote), l'inconsistenza di una vera battaglia contro l'evasione, ritenuta area di consenso elettorale, la non volontà di dare un pieno e compiuto senso alla progressività a cui è ispirato il nostro sistema impositivo, tanto che, anche solo considerando gli effetti della poco conosciuta utilità marginale, si lascia che a pagare di più, nella sostanza e non solo nella forma, siano i redditi da lavoro più bassi, su cui le aliquote agiscono in maniera tale - al netto del sistema delle detrazioni e deduzioni e della no tax area - da rendere più gravoso il prelievo consentendo ai più ricchi di pagare meno proporzionalmente e in senso assoluto.

L'imbroglio fiscale che si gioca tutto sul taglio in periferia e sulla costrizione proprio alle amministrazioni locali di fare interventi di correzione che pesano il doppio in periodo di crisi, è il cuore della vicenda italiana: bassa crescita, tagli alla spesa sociale produttiva, tagli ai bilanci locali e depressione delle economie territoriali, un finto rigore che protegge solo gli alti redditi finanziari.
Queste sono le cose concrete che incarnano la critica della Cgil alle politiche fiscali ed economiche nazionali, ma anche in questa provincia. Dati e fatti finalmente così oggettivi da rendere evidente come, contrariamente alla oramai stanca litania strumentale dell'entourage sacconiano-brunettista, non c'è vizio ideologico nelle posizioni della Cgil ma solo riconoscimento della realtà per quello che è. E quindi affermazione di un bisogno oramai non più procastinabile di fare diversamente, aprendo i rubinetti delle misure anticicliche vere: più sviluppo, più investimenti, da finanziare con una riforma fiscale che non può essere ispirata al generico "pagare meno" ma a quello di far pagare con giustezza, a tutti, e secondo i principi costituzionali.

Paolino Barbiero, segretario generale Cgil Provinciale Treviso