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LETTERA AL DIRETTORE

Comunicati Segreteria - 24/06/2010

Gentile direttore,
la proclamazione dello sciopero generale da parte della sola Cgil contro le politiche economiche del governo, e in particolare contro la manovra correttiva, è una scelta che marca la gravità del momento per il nostro Paese, che attraverso una fase caratterizzata dagli errori nel governare la crisi economica e sociale a causa di scelte che sono penalizzanti non solo delle prospettive di ripresa ma che soprattutto colpiscono le fasce sociali più deboli.
L'obiettivo dello sciopero non è quello di riempire le piazze, per quanto la buona riuscita delle manifestazioni pubbliche segnerà in parte il successo o meno della giornata, ma piuttosto svuotare i luoghi di lavoro.
Cioè non vogliamo mandare in archivio il 25 giugno come una giornata di mobilitazione d'opposizione, ma dare alla giornata il tratto tipico della battaglia sindacale: lo sciopero come strumento di contrattazione e difesa degli interessi e dei diritti di tutti i lavoratori di legittima pressione.

Il quadro che abbiamo davanti è ben chiaro: l'aumento dei licenziamenti, la crescita della cassa integrazione, l'esponenziale impennata dei fallimenti e dei concordati misurano la febbre della società e del tessuto economico soprattutto in un'area come questa, caratterizzata dalla presenza di imprese di dimensione medio piccola, particolarmente esposte agli effetti primari - calo dei fatturati, crisi dei mercati - e anche secondari della crisi, soprattutto la contrazione del credito.

Cosa fa il governo per rispondere all'emergenza? Costruisce una manovra solo contabile senza misurarsi minimamente sulla sfida dello sviluppo; asseconda la perversione di un sistema in cui la finanza prima è causa della crisi, poi si fa risanare i propri debiti dai bilanci pubblici, quindi detta le condizioni per non attaccare in maniera speculativa gli Stati, costringendo a operazioni di macelleria sociale.
Le ragioni della stabilità dei bilanci e del contenimento del debito pubblico sono sacrosante; ma il conto del risanamento non può essere pagato solo dai soliti noti, i lavoratori, i pensionati, le famiglie a basso reddito. Tutti quelli, cioè, che subiranno le più negative conseguenze sulla loro qualità della vita a causa delle politiche che si vogliono attuare: tagli agli enti locali, quindi tagli ai servizi, soprattutto a quelli sociali, in particolare mettendo a rischio il sistema sociosanitario e quindi violando un diritto fondamentale e costituzionalmente garantito come la salute; e attraverso la violazione dei diritti fondamentali del lavoro, minacciati dal collegato lavoro e dai progetti revisionisti di destrutturazione dello Statuto dei Lavoratori.

Svuotare i posti di lavoro, in occasione dello sciopero generale, non significa tentare di dare spallate di piazza al governo legittimamente eletto, ma di mandare al governo il segnale per cui a chiedere di più e di meglio dalle politiche economiche non è una sigla sindacale o una parte politica, ma la vasta platea di cittadini che vivono la prospettiva del futuro con una crescente preoccupazione, provocata dal disagio del presente.

In questi giorni si parla molto della questione dei tagli agli enti pubblici e della protesta, l'ennesima, dei sindaci. Questa protesta, che attraversa da una parte all'altra lo scenario politico e che si caratterizza anche per l'imbarazzo che vivono i primi cittadini della Lega e del Popolo della Libertà non è abbastanza.
Occorre invece una mobilitazione di gente, di popolo si sarebbe detto una volta, che "convinca" il governo a tornare a trattare sulla sostanza della nostra politica economica: come si difendono meglio i diritti dei più deboli, quale sia il modello da cui vogliamo ripartire, come si affronta e si esce dalla crisi, cosa fare per il mercato del lavoro, come aiutare veramente la ripartenza delle imprese.

Riportare la controparte al tavolo delle trattative è esattamente quello che spesso si prefigge uno sciopero. Per questo la mobilitazione di oggi non è manifestazione di opposizione politica, né strumento di visibilità, ma sostanza dell'azione rivendicativa. Non mi aspetto, di fronte ad un possibile successo dello sciopero generale, che questa sera il governo apra a possibili miglioramenti. ma i numeri della protesta saranno, come successo a Pomigliano d'Arco con i "no" all'accordo separato, un segnale di cui solo uno sciocco potrà non tenere conto sperando che per vincere a ogni costo non si continuino a fare scelte contro i lavoratori, i pensionati e le giovani generazioni.

Ufficio Stampa