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LETTERA AL DIRETTORE

Comunicati Segreteria - 28/02/2012

Sono interessanti gli spunti offerti dall'intervento di Paolo Camolei su articolo 18 e priorità dell'economia in questa fase.
E lo sono per tre ragioni.
La prima ha che fare con la collocazione politica di Camolei, esponente di un'area moderata che però evidentemente ha la capacità di superare vecchie contrapposizioni e posizioni rigide, spesso molto polemiche con la Cgil, e questo sulla base di considerazioni pragmatiche.
La seconda, soprattutto per quanto riguarda l'articolo 18, è in relazione al suo essere un imprenditore; la terza, la più stimolante, riguarda le considerazioni che vengono svolte.

Condivido molti passaggi del ragionamento dell'esponente dell'Udc, soprattutto la voglia di imporre, nel dibattito a livello locale, la razionale evidenza che ci sono questioni ideologiche e questioni sostanziali e che occuparsi delle prime, a mio giudizio, può servire solo a distrarre dalle seconde e a frenare le idee e le proposte innovative, oltre che a comporre un insistente disegno di destrutturazione del lavoro, aggravato dal metodo minacciato del fare comunque, a prescindere dall'accordo con le parti sociali.

Non può sfuggire come ad esempio il governo condisca una politica di durissima austerity, politica che non esito a definire pro-ciclica, con blandi interventi ad esempio in materia di di liberalizzazioni, secondo un modello che potremmo definire di "panem et circenses": si fanno liberalizzazioni ad effetto mediatico, quella dei taxi, degli orari del commercio, con un metodo che guarda più agli effetti anestetici sull'opinione pubblica (come i colpi ad effetto contro l'evasione fiscale) atti a blandire, riducendone la portata, quelli delle misure vere, quelle più dure, applicate alla generalità della cittadinanza e dei lavoratori lasciando intonsi i grandi centri di potere.
La polemica sulle banche, in questo senso, è del tutto condivisibile. Resta fuori dal ragionamento dell'esponente dell'Udc, proprio in una visione di azione locale della politica, una serie di partite. Punto primo le liberalizzazioni.

Si facciano quelle che in effetti servono a dare più forza all'economia e le si facciano mettendo in piedi le infrastrutture, per così dire, che le tengono in piedi. Va bene, ad esempio, la liberalizzazione delle tariffe professionali se questa produce in effetti riduzioni dei costi e se viene accompagnata anche da un efficace contrasto dell'evasione, per far sì che i mille evasori di oggi, per effetto della concorrenza e forse di un abbassamento delle tariffe, non diventino domani tremila.

Punto secondo: la riorganizzazione della giustizia in materia di lavoro, fallimenti e procedimenti concorsuali. Serve accelerare e, rispetto proprio ai concordati, innestare maggiore vigilanza, anche alla luce di quanto riportato dalla cronaca in questi giorni. Più certezza e velocità significano meno costi, maggiori efficienza e maggiore giustizia.

Punto terzo: le privatizzazioni. L'idea che privatizzare sia la madre di tutte le soluzioni è vecchia e banale. Il faro dovrebbe essere l'efficienza, la lotta alla corruzione ( tanto nel pubblico quanto nel privato) e soprattutto la consapevolezza che rispetto ad alcune partite, energia, acqua, trasporti e rifiuti, un centro di controllo pubblico (sulle tariffe, sulle manutenzioni delle reti ) significa intervenire attraverso perequazioni ad alta intensità sociale su attività che possono essere merce di mercato ma che hanno anche se non soprattutto la caratteristica di rappresentare servizi pubblici fondamentali, oltre che essenziali.

Su questo la politica può intervenire con quello che è il metodo di Camolei: spogliandosi di bagagli ideologici e guardando la realtà per quella che è, pur proponendo, da posizioni diverse, differenti soluzioni.
Questo metodo ha un vantaggio: non segue la sciocchezza di forzature, come quella della presidente di Confindustria Marcegaglia, su ladri e fannulloni, battute di pessimo gusto, provocazioni senza ragione a cui risponderei chiedendo a Marcegaglia di occuparsi della corruzione delle e nelle imprese, per non parlare - estremizzando- dei professionisti che difendono, in aule di tribunale e in Parlamento, mafiosi e camorristi, cioè veri delinquenti.
L'articolo 18 è uno strumento di civiltà. Va difeso non solo nel suo contenuto ma anche dal rischio di diventare un paravento utilizzato da chi sposta l'attenzione dai problemi veri. Problemi che per una forte caratterizzazione conservatrice e amica dei poteri forti, evidentemente non si vuole affrontare davvero.

Paolino Barbiero - Segretario Generale Cgil Provinciale Treviso